Tiziano Bellomi | Works | CV | Text | Contacts
 
Cover portfolio Stripes 2023
 
Image of the cover "Portfolio Stripes 2023". Free download (4,41 MB)
 

 
Nine vertical colored stripes
"Nine vertical colored stripes", digital painting, 35x50 cm, 2023.
 

Il mio linguaggio visivo
Meridiani o strisce di colore
Utilizzo della linea per fare pittura

Luci, ombre, punti, linee, colori, forme e superficie costituiscono il linguaggio visivo.
La mia pittura è composta da bande o strisce di colore, in rapporto tra loro e rappresenta pertanto una sottrazione, una riduzione del modo di esprimersi in una forma più sintetica, una sintesi del mezzo espressivo.
Anche la disposizione solamente in verticale delle strisce si può considerare come una riduzione della natura spaziale della rappresentazione stessa.
In questo gioco di alternarsi di linee verticali di diverso colore cerco una continua reinvenzione e identità.
Il mio lavoro non presenta caratteristiche didattiche, non cerco di istruire lo spettatore sulla funzione del colore, ma attraverso la ricerca tento di completare la mia stessa educazione sulle sue possibilità.
Combinando gli elementi cromatici della pittura individuo fino a che punto il risultato ottenuto si avvicina a ciò che già conosco o a ciò che speravo di conoscere.
Questa ricerca è iniziata usando la fotografia digitale, scomponendo le immagini in valori tonali e riducendo la fotografia ad una serie di linee di colori che rappresentavano quel dato o quel paesaggio.
Ancora oggi l’inizio di un nuovo dipinto avviene tramite suggestioni visive o fotografiche, scompongo i ricordi o le fotografie con scansioni mentali o digitali e ricompongo l’immagine con il sentimento del colore.
In ogni caso i miei quadri non sono disegnati prima di essere dipinti e tutto il lavoro si sviluppa per induzione, attraverso la capacità di condizionare la volontà a un determinato atteggiamento orientato per tentativi, per cancellature, per sovrapposizioni dall'inizio alla fine.
Una striscia colorata segue la prima e le successive, lasciando all'occhio la decisione di scegliere come continuare la lettura o chiudere l'opera.
In questa sedimentazione pittorica va tenuto presente il ruolo svolto dal fondo, dalla pittura preesistente, e cioè dalla superficie che sta sotto e che con la sua presenza condiziona, infatti il fondo lo si percepisce attraverso i vari strati e viene via via integrato con l'immagine dipinta.
Attraverso questa stratificazione introduco nella pittura l’elemento tempo, rendendo in parte visibili i vari interventi pittorici.
Mi piacerebbe che attraverso la mia pittura si percepisca il colore come un qualcosa di fisico, di concreto, come se le campiture di colore fossero una superficie in cui camminarci dentro, meglio… una stanza, uno spazio tridimensionale, saturo di colore, e che lo si possa vivere fisicamente, ecco cosa intendo comunicare con la mia pittura.
Vorrei si percepisca come uno spazio fisico saturo di colore che lo senti, ti tocca, con il quale hai la necessità di creare un dialogo, di coglierne la vibrazione di esserne partecipe, di sentirsi tutt’uno, allora diviene una cosa viva e lo senti sulla pelle.
Occorre soffermarsi, dialogare con esso, per sentirlo come una cosa propria, che ti appartiene perché è stato creato per questo, per mettersi in contatto e dialogare con te.
In questo modo si vengono a creare così delle zone di sensibilità pittorica immateriale dove la vibrazione cromatica è tua e ti appartiene.
Da molto tempo dipingo in questo modo, usando campiture o strisce di colore verticali, perché in merito alla pittura credo che occorre una nuova espressione, una nuova pittura geometrica, leggera, piacevole, dove l’aspetto aulico contenuto nella parola opera d’arte venga considerato come sorpassato, obsoleto!
Una pittura capace di emozionare per la sua semplicità, riscoprendo l’aspetto decorativo, il colore, con dei contenuti leggeri, facili, piacevoli, in netta antitesi con quell’inutile atteggiamento saccente, ridicolo e presuntuoso di buona parte dell’arte.

Tiziano Bellomi 2022

 

 
My studio

Il mio rapporto con il mio studio

Il mio studio è prima di tutto un luogo di vita, sento i rumori del cortile, il cane che abbaia, guardo la coppia di uccelli neri allevare i loro piccoli nel folto del pino, ascolto la civetta, la radio, spotify, telefono, perdo tempo sui social, innaffio le piante, osservo la lucertola che prendeva il sole venire a bere, scavalco jack il gatto con un occhio solo, mi intenerisco e lo accarezzo un po’, prendo la posta dalla cassetta c’è ancora chi mi scrive o mi manda un catalogo, sento il campanile della piazza talmente forte che mi entra nel cervello e ne occupa tutto lo spazio e mi accorgo che la giornata sta per finire. Passando davanti ad un dipinto osservo il breve lavoro fatto, anche oggi ho dipinto alcune righe verticali, niente di che… vedremo domani.
Non riesco a non andare in studio, ne ho la necessità, ho bisogno di affermare a me stesso che sto facendo un lavoro, ci vado tutti i giorni, 9,30 – 12 / 15 – 19, sono un operaio dell’arte, mi sento legato al mio luogo di lavoro.
Lo vivo da molto tempo, forse 30 anni, un luogo che conoscevo anche da bambino, una officina di un fabbro che con il tempo si è un po’ trasformata, ma ha in parte mantenuto il suo sapore.
A volte mi sembra che sia lo studio l’opera dell’artista, dove vedi il suo passato il suo presente il suo fare e dove tutto è sincero.
A me piace molto far visita ad artisti, solo dopo aver visitato il loro studio mi sembra di conoscerli, anche se li frequentavo da anni.
Sono spesso solo nello studio, ma non mi dà fastidio, non mi pesa, per me è una condizione necessaria al lavoro, che è frutto di molte cose divise e diverse dal gesto pittorico, il dipingere si risolve in tempi brevi, Il resto del tempo è legato a vivere nello studio un vivere propedeutico e necessario all’atto creativo.

In the studio of Tiziano Bellomi

My studio is first and foremost a place of life, I hear the sounds of the yard, the dog barking,
I watch the pair of black birds raise their young in the thick of the pine tree, I listen to the owl, the radio, spotify, telephone, I waste time on social networks, I water the plants, I watch the lizard that sunbathing come to drink, I climb over jack the one-eyed cat, get soft and caress him a little, I take the mail out of the box there is still someone writing to me or sending me a catalogue, I hear the bell tower in the square so loud that it enters my brain and occupies all the space and I realise that the day is coming to an end. Passing in front of a painting I look at the short work done, even today I painted a few vertical lines, nothing much…we’ll see tomorrow. we’ll see tomorrow.
I can’t not go to the studio, I need to, I need to affirm to myself that I am doing a job, I go there every day, 9.30 – 12 / 15 – 19, I am an art worker, I feel connected to my place of work.
I have lived there for a long time, maybe 30 years, a place I knew even as a child, a blacksmith’s workshop that has changed a bit over time, but has partly retained its flavour.
flavour. Sometimes it seems to me that the studio is the artist’s work, where you see his past his present his doing and where everything is sincere. I really like visiting artists, only after visiting their studio do I feel like I know them, even if I have been seeing them for years.
I am often alone in the studio, but it doesn’t bother me, it doesn’t weigh me down, for me it is a condition necessary for the work, which is the result of many things divided and different from the act of painting, the painting is resolved in a short time, the rest of the time is linked to living in the studio a living preparatory and necessary to the creative act.

This text is present to this link https://paroladartista.wordpress.com/

 

 
cover catalog mano libera pensieri sciolti
 
Cover of the catalog "Free hand and thoughts unbound", Free download Italian and English verision (3,67 MB)
 

Mano libera e pensieri sciolti
Tiziano Bellomi, nel Museo della stampa di Soncino, sembra voler parlare al visitatore della natura dei segni attraverso le loro trame, le loro sfumature e i loro intrecci. Siamo assai lontani da quella sorta di microcatalogazione, con cui l’artista ha creato le pietre numerate, testimonianze perfette di azioni concettuali semplici e ponderate con cui si appropriava del mondo circostante e lo rigenerava nel segno dell’arte. Si distendono stavolta, sulle sue carte, materie segniche, edonistici orditi di tracce di penne biro, vortici di scritture senza parole e senza enigmi. Un omaggio ad Alighiero & Boetti e ai suoi tratteggi a penna, ai suoi immensi fogli straripanti di trattini di biro? Forse che sì, forse che no! Tiziano, nei suoi interventi, realizza sempre strategie espressive complesse, veri garbugli figurativi disorientanti da studiare, interpretare e leggere, al cui interno si cela l’essenza della sua profondissima fede nell’atto estetico. Di fatto davanti a noi si distende un vocabolario grafico essenziale, in cui le preoccupazioni centrali sono la sperimentazione della dimensione cromatica che assumono le sue trame sobrie, dei vuoti in cui queste si agitano e dello spazio che tutto racchiude: scelte che ci catapultano in un impossibile confronto con gli orizzonti della pittura analitica, un’esperienza tutta italiana in grado di dialogare intelligentemente con le avanguardie degli anni Sessanta/Settanta, con la sperimentazione di inediti materiali artistici, di elementi di reiterazione e di dialogo col minimalismo pittorico. Rigettavano gli analitici gli eccessi espressionistici, a favore dell’introduzione di serialità, di riduzione della soggettività e di ricerca nell’esperienza fenomenologica. Il confronto che l’autore tesse con loro è interessante perché significa, innanzitutto, un cercare di parlare, per usare una metafora, coi propri padri. Per questo l’indagine recente di Tiziano Bellomi si addentra lungo i crinali di una ambiguità artistica dove la linea o la texture (o il segno che la traduce graficamente) viene recuperata come memoria, come atmosfera onirica che incanta perché intrisa della dimensione dei ricordi giovanili e del sogno, del rêve, dell’inconscio. L’artista si addentra inaspettatamente su pagine in cui si sono materializzati tempo e immaginazione. Resta in queste tavole il perenne gioco dell’autore con gli stereotipi dell’arte, con un processo irriverente di appropriazione e di rimessa in circolo di materiali, cose e immagini all’insegna della de-estetizzazione, della ricusazione della tradizione, della essenzializzazione formale. Questa incursione nella pittura analitica diventa anche l’occasione per una meditazione sui meccanismi di realizzazione dell’opera d’arte, per una critica alle costruzioni intellettuali che ne devono giustificare il senso, per una riflessione sulla propria specifica natura di autore con una storia seria e molte inevitabili vicissitudini. Sulle pareti del museo i «Meridiani» di Bellomi, opere grafiche recentissime, rammentano, dietro le bande verticali od orizzontali delle sue partiture, un esplicito e inevitabile riferimento a criteri, procedure e processi. L’autore ha creato dunque una serie riduttiva di strutture compositive, che, intenzionalmente, si esaltano nei diversi gorghi dei tratteggi a biro (anche dove l’artista ha tradotto il segno tramite l’acquaforte): strisce di linee ripetitive, essenziali e sistematiche orientate tutte ai procedimenti di riduzione del linguaggio della pittura, al piacere per i suoi elementi primari. Come i pittori analitici appunto. Manca però la componente algebrica ed elucubrativa che giustificava concettualmente l’abbandono di ogni finzione rappresentativa, perché il tratteggio e il disegno di Tiziano, a mano libera (sciolto ed affrancato), richiede molta concentrazione e un automatismo che lo apparenta per certi versi al procedimento della scrittura surrealista. Tutta quella antica dottrina dogmatica per tracciare «quattro righe», nel 2020, più non serve: per questo Tiziano riprende ironicamente in mano una penna a sfera, una biro, uno degli strumenti più comuni di cui ci serviamo ancora per comunicare tramite la scrittura. Come direbbe Achille Bonito Oliva: l’opera pretende semplicemente un’immagine che sia «contemporaneamente enigma e soluzione». Bellomi insegue chiaramente una libertà assoluta senza giustificazione alcuna. Quel suo puro estetismo diventa una scrittura automatica di assoluta ricercatezza, il cui risultato finale è l’offerta di uno spazio ri-caratterizzato. Come il titolo di un’opera di Boetti del 1981: «Mano libera, pensieri sciolti». Il non-rappresentativo, il non-figurativo, il non-immaginario, il non-espressionista, il non soggettivo rimandano a una iconoclastia che non intende più versare lacrime sul catafalco addobbato per la «morte della pittura» ma che ricerca solo una lettura più riconciliata, una lettura che si rivela in superfici vive e vibranti. Queste opere su carta (e ovviamente quelle su tela) non nascono per un capriccio. Hanno ovviamente un collegamento con le «Linee di confine», installazioni posizionate in vari luoghi d’Italia. Perché il procedere di Bellomi, nelle sue componenti di omaggio, di ironia, di dissacrazione e di sabotaggio linguistico porge, da molti anni, evidenti concetti geografici. Non sono forse espressioni numeriche le coordinate dei meridiani? I suoi meridiani fissano stavolta le coordinate indicibili del territorio della pittura analitica e di molto altro. L’accostamento tra opere, sia su carta sia su tela, coi nomi di città e di altri «Meridiani» portano poi oltre l’iniziale discorso sulla pittura. Tiziano Bellomi dichiara così, palesemente, che la concezione dell’opera ha senso non tanto nell’oggetto singolo e isolato ma nel legame che, attraverso i suoi riferimenti, conduce alla scoperta dell’universo dell’artista con la molteplicità delle sue esperienze. I «City names» accompagnano, ovviamente, i «Meridiani» perché ogni luogo abitato s’accende oggi sui media e sulle news, e ci appare prima come una voce e poi nella bellezza delle lettere che lo denominano (e le lettere sono numeri come nell’antico alfabeto ebraico o in quello latino). È la dimensione inattesa delle lettere dell’alfabeto che si palesa parallelamente in altre opere complementari alle prime. E le lettere, con le loro forme meravigliose, prima danno forma, diventano suono e poi senso e poi vera vita (quella dell’artista e la nostra). Entrambe le serie elaborate graficamente da Tiziano Bellomi (quasi sempre tradotte in pittura) regalano… regalano il punto d’arrivo di lavori straordinari e raffinati, coinvolgenti come una preghiera, frastornanti come sogni, perché sono spazio d’incontro di un linguaggio estetico che si apre alla rivelazione della meraviglia dell’autore nella sua interazione col mondo. Se l’arte è una sorta di sacra scintilla che brilla grazie a un procedere oltre le convenzioni di una società utilitaristica, allora queste opere sono specchio di una creatività sincera che può emerge solo dalla personalità di un autore speciale; di un autore che trasforma ogni opera nella sublime materialità di momenti esperiti dall’esistere e dal camminare, in questa nostra terra, come un giusto. Sia rapace allora il vostro sguardo e si apra ad improvvise ed inaspettate emozioni, per catturare qualche frammento delle sue preziose suggestioni.
Gianfranco Ferlisi Modena 2020


Free hand and thoughts unbound
Tiziano Bellomi, at the Museum of Printmaking in Soncino, Italy, seems to light up as he speaks with a visitor about the quality of line as it crosses the surface, how line is blended and interwoven in its application. This sensibility seems far removed from the impulse to catalogue which drove Bellomi to create a series of numbered stones, perfect witnesses to a simple and considered act of conceptual art where the surrounding world is appropriated and then regenerated in the name of the artist’s aesthetic.This time, across sheets of paper, linear matter is applied, voluptuous scrawls in ballpoint pen, swirls of wordless writings without enigma. Might it be some tribute to the cross-hatching of Alighiero & Boetti, these immense sheets overflowing with lines incised in ‘Bic’ pen? Maybe yes, maybe no! In his creative actions, Bellomi creates complex expressive strategies, tangled figurative truths to be studied, read and interpreted, and in which can be found the essence of his profound faith in the aesthetic act. In fact, it is a fundamental graphic vocabulary unfolding before us, one in which the central concerns are chromatic experimentation in the somber quality of his surfaces, the voids into which his lines are activated and the space encompassing everything: he makes choices which throw us into untenable comparisons within the broader context of analytical painting; Bellomi creates a fully Italian experience, one which capably engages the Avant-Garde of the 60’s and 70’s with its use of discarded and found materials while expanding a direct dialogue with elements of pictorial minimalism. Analytical painters rejected the excesses of expressionism, tending instead towards seriality, the fusing of empiricism and subjectivity into phenomenological experience. Drawing comparisons between Bellomi and their school is interesting; we can perceive how the artist is attempting to dialogue metaphorically with his creative progenitors. This is why Bellomi’s most recent work seems to explore along the crest of an artistic ambiguity where the surface line (the mark which graphically translates texture) is recovered as memory, a moment of unreality enchanting because it is imbued with the dimensions of youthful memories, of dreams, le rêve, the unconscious. With a certain abruptness, the artist delves into pages where time and imagination have materialized. His ongoing and playful engagement with art’s stereotypes remains, as does an irreverent process of appropriation and re-circulation-materials, objects and images- all in the name of de-aestheticization, the throwing off of tradition, of formal essentialization. This foray into analytical painting also presents an opportunity for reflection on the mechanics of creation, for a critique of the intellectual constructs which exist to validate art’s meaning, for a reflection on one’s specific nature as an artist with an actual past and all its inevitable vicissitudes. On the walls of the gallery, Bellomi’s «Meridians», very recent graphic works which recall, beyond the vertical or horizontal bands which form their compositions, an explicit and inevitable reference to criteria, procedure and process. The artist has therefore created a reductive series of compositional structures which, by intention, are then accented through the various eddies of cross-hatched pen (even where the artist has translated his marks through etching): rows of stripes, repetitive, essential and systematic, all pointed towards the aim of reducing the language of painting down to the simple joys of its primary elements. Much like the ways of the analytical painters. However, some algebraic sensibility, some studious air is missing, that which offered conceptual justification for the abandonment of any attempt at representation, because Bellomi’s cross-hatching and quality of line, always rendered freehand (loose and liberated), requires concentration combined with an automatism which in some ways recalls techniques of surrealist writing. The ancient teachings and dogmatic tenets are no longer required to create Bellomi’s “Four Lines” (2020). In this sense, he takes up a ballpoint pen with some irony- a simple ‘Bic’ pen, one of the more mundane instruments we can employ to communicate through writing. To quote Achille Bonito Oliva, the artwork demands a vision which provokes “both enigma and solution”. Bellomi, in his work, seeks absolute freedom with no need for justification. His pure aesthetic translates into a spontaneous and deeply researched calligraphy which is then used to render this offering of a re-characterized space. Like the title of a 1981 work by Boetti: “Free hand, thoughts unbound”. The non-representational, the non-figurative, the non-imagistic, the non-expressionist, the non-subjective: all these suggest an iconoclastic bent which no longer seeks to shed tears on a bier decorated for the “death of painting” but which speaks to an interpretation more reconciled, one which is revealed in vibrant, living surfaces. These works on paper were not conceived in a vacuum. There is a clear connection with Bellomi’s “Border Lines” installations, located at various sites in Italy. Bellomi’s process, with its quality of acknowledgement, irony, desecration and linguistic sabotage, has for many years offered clear geographical elements as well. Aren’t the coordinates of the meridians numerical expressions? In this instance, it is the meridians themselves which fix inexpressible coordinates within the ambit of analytical painting and much more besides. It is the juxtaposition of the works, executed on paper to show the names of cities and other “meridians”, which subsequently takes us beyond our initial discourse on painting. Here Bellomi has broadly declared that the work’s conceptual value lies not so much in the single and isolated object itself but in the links which, through contextual expansion, lead to the discovery of the artist’s universe with all its multitudinous facets. The two series, “City Names” and “Meridians” are clearly linked, since today the name of every location, burning in the ether of news and social media, appears first as a voice and then in the beauty of the letters that spell it out (and of course the letters are numbers as in the ancient Hebrew or Latin alphabet). It is the unexpected dimension of the letters which carries through from previous works and it is the letters, with their beautiful forms, which first give dimension, become sound and meaning and then something true and living (that which belongs to the artist and to us). Both of these series created by Tiziano Bellomi offer extraordinary and refined works, captivating like a prayer, bewildering like dreams, for in them we find the space to encounter an aesthetic language which opens to reveal the artist’s wonder at his interaction with the world. If art is a sort of sacred spark, burning still because it supersedes the conventions of a utilitarian society, then these works are the mirror of a sincere creativity which can only emerge from a distinct and personal vision; from an artist who transforms each work into the sublime materiality of moments experienced by existing and walking in this land of ours, like a just man. So let your gaze be avid and open to sudden, unexpected emotions, in order to capture some fragment of this work’s unique appeal.
Gianfranco Ferlisi Modena 2020

 

 

Parole e Numeri

Doppia Personale
opere di Manuela Bedeschi e Tiziano Bellomi
a cura di Gianfranco Ferlisi
febbraio 2020
MAM Museo d’Arte Moderna dell’Alto Mantovano, Gazoldo degli Ippoliti, Mantova, Italy

 
Mostra Parole e Numeri
 
Esposizione, Pietre numerarie e dipinti a parete, MAM, Museo Arte Moderma Gazoldo degli Ippoliti, Mantova, 2020.
 
cover book parole e numeri
 

Cover of he catalog "Words and Numbers", Free download (Italian and Eglish language) (pdf 510 KB, ISBN 978-88-97913-93-1)

 

"La forza evocativa della parola e del numero: Bedeschi e Bellomi al MAM", di Alice Vangelisti per Espoarte 108, Contemporary Art Magazine

Manuela Bedeschi e Tiziano Bellomi. 
Parole e Numeri

GAZOLDO DEGLI IPPOLITI (MN) | MAM – MUSEO D’ARTE MODERNA DELL’ALTO MANTOVANO | 8 FEBBRAIO – 8 MARZO 2020

di ALICE VANGELISTI
PensaGuardaAscolta. Tre moniti e imperativi che accolgono fin da subito il visitatore. Infatti, già nel giardino antistante la Villa Ippoliti, sede del MAM – Museo d’Arte Moderna dell’Alto Mantovano a Gazoldo degli Ippoliti (MN), si presentano delle opere, che anticipano il percorso espositivo della mostra Parole e Numeri, in cui i lavori di Manuela Bedeschi e Tiziano Bellomi entrano in dialogo tra di loro.
Il contesto storico e affascinante della villa tardo cinquecentesca apre le sue porte all’arte contemporanea, presentando la ricerca sperimentale e attenta di due artisti che riflettono sul tema di un linguaggio che diventa concetto e pensiero. Due strade formalmente ed esteticamente diverse quelle intraprese da Bedeschi e Bellomi, ma che essenzialmente racchiudono una linea di pensiero simile: una codificazione visiva che trae spunto dalla parola scritta per aprire a riflessioni ben più profonde e introspettive.
Lettere, parole e numeri si susseguono all’interno della mostra e richiedono un’attività interpretativa e soprattutto immaginativa da parte dell’osservatore: il percorso espositivo diventa così una sorta di cammino fisico e mentale alla curiosa scoperta di sé e del mondo, con profonde riflessioni, continui interrogativi e nuove possibilità.
Una mostra che si estende nel quadro storico della villa, ma che allarga i suoi confini anche all’esterno. Infatti, già prima di intraprendere la potente scoperta all’interno dell’antica dimora, il visitatore è accolto da alcune opere esposte nel giardino. Si tratta di quattro lavori che portano con sé un senso più profondo da attribuire alla parola scritta – o nel caso di Bellomi, al numero.
Una ruvida panchina di cemento armato, un sasso inciso, due neon verdi. La loro staticità materica entra in forte contrasto con i valori di cui si fanno portatori: la forza evocatrice della parola si staglia potente e decisa non solo nella materia ma anche nella mente di chi guarda.
Così l’opera Pensare stanca (2020) di Bedeschi si presenta come una semplice panchina di cemento posizionata nel giardino, ma grida silenziosamente e visivamente una parola: pensa. Un termine semplice e distinto, che apre però a suggestioni ben più profonde e introspettive: siediti, rifletti, pensa.
Sempre nel giardino trova spazio anche Pietra numeraria 130 (2020) di Bellomi, offrendo uno spiazzante concetto di scultura. Sopra la pietra l’artista ha infatti inciso in bassorilievo il numero 130, un piccolo e quasi insignificante intervento in confronto alla dimensione del sasso.

Quello che, però, sembrerebbe essere una semplice azione concettuale, che dà vita a una sorta di microcatalogazione artistica, invita a sua volta a riflettere sui grandi interrogativi che animano da sempre l’universo artistico contemporaneo, ragionando sulla sua forza creatrice che trasmuta il reale e il quotidiano facendolo diventare arte e attribuendogli un valore alternativo e un nuovo senso.
Sulle logge dell’antica dimora svettano infine i due “imperativi luminosi” di Bedeschi: Ascolta (2020) e Guarda (2020). Un lessico emozionale che si staglia come monito e consiglio, aggiungendo senso e valore profondo alla parola scritta, che aiuta a guidare lo spettatore in una lettura interpretativa dalla grande carica evocativa.
Nella villa il dialogo tra le due ricerche si fa ancora più serrato, in un gioco di rimandi e trasformazioni in relazione allo spazio. Le opere si susseguono nei diversi ambienti e vi interagiscono, invitando a guardare oltre e al di là della consuetudine, in una riflessione sempre più profonda e introspettiva attraverso una sequenza di opere che raccontano la poetica dei due artisti: da un lato i numeri di Bellomi, dall’altro le parole di Bedeschi.

Serialità e numeri, ma anche parole e pensieri appaiono in perfetta armonia ed equilibro nelle opere di Bellomi, creando un sottile filo di congiunzione che unisce la sua intera ricerca. Dalle Pietre numerarie ai Meridiani, progressivamente si fa strada una componente autoriflessiva, che conduce lo spettatore nella profondità del gesto artistico e lo fa interrogare sulle grandi questioni del mondo dell’arte. Il serialismo di Bellomi ne presenta così un’inedita visione attraverso una “catalogazione” intesa in maniera estetica e ben più profonda, concentrandosi sul valore del numero e sulla sua carica evocativa. Indelebilmente inciso nella serie delle Pietre numerarie, il numero però scompare – o quasi – dai lavori su tela. Nella serie dei Meridiani, infatti, il numero è visivamente assente, ma i segni verticali sono comunque legati al valore numerico, rappresentato in questo caso in maniera astratta e concettuale, aprendo a una dimensione inattesa e quasi onirica. Attraverso i nomi delle città e i colori, l’artista evoca infatti nella mente dello spettatore alcuni luoghi – senza però mostrarli – dimostrando il grande potere evocativo di una parola e di un nome che apre a suggestioni e memorie inattese e inaspettate nella mente di chi lo legge.

Le luci di Bedeschi invece pulsano e irradiano un’energia riflessiva all’interno degli ambienti della villa. Il neon disegna nuovi colori e nuove ombre negli spazi circostanti: i monocromi retroilluminati Più Arancio (2011) e Arancio piccolo n.1 (2020) dematerializzano non solo lo spazio pittorico della tela, ma anche l’ambiente che li ospita, creando effetti di rarefazione ed evanescenza, trasformando la visione e la percezione attraverso un uso sapiente dell’elemento luminoso. Si rivela così anche un’altra essenza del tema della luce: le parole che all’esterno invitano alla meditazione, a scavare nella propria interiorità, ora diventano luce che crea e trasmuta il reale. Il neon si presenta, quindi, come una sorta di forza generatrice, che cela, rivela e svela in maniera essenziale e minimale, facendo concorrere luce e oscurità a creare un nuovo spazio di azione e di riflessione. Emergono, così, contrasti e tensioni tra forma e colore, superficie e oggetto, astrazione ed evocazione, arte contemporanea e ambiente storico. Le parole e i pensieri assumono in questo modo una tridimensionalità, una forma concreta e reale, vitale e imprevedibile, creando di volta in volta delle forze che catturano la mente e lo sguardo dello spettatore.

La quotidianità assume così una nuova significazione: neon e parole, pietre e numeri aprono – concettualmente e visivamente – a nuovi pensieri, a profonde riflessioni, a continue possibilità e interpretazioni, dove materia e idea, arte e vita, si intrecciano inevitabilmente. Solo in relazione a ciò, le parole iniziali di Bedeschi, rivolte all’uomo contemporaneo pronto ad accoglierle, si mostrano ancora di più nella loro potenza evocativa, concettuale e reale allo stesso tempo.


Alice Evangelisti
Tratto da: Espoarte numero 108 Contemporary Art Magazine

 

 
Macro Museo Arte Contemporanea Roma Talk
 
Tiziano Bellomi Jessica Bianchera, Talk: "Autoritratto", presso Macro, sala cinema 26 novembre 2019
Free download Portfolio Talk Bianchera Bellomi Autoritratto 9.68 MB
 

 

Free download

Portfolio Numerazioni 5.07 MB
Portfolio Punti e linee di Confine 2,05 MB
Portfolio Bocs Art Cosenza 2,54 MB
Portfolio City Names 5,87 MB
Portfolio Celare a Memoria 622 kB

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Espoarte 105
 

Espoarte n°105, 2019.

Principi di riduzione

Da sempre allergico a etichette, definizioni e sistematizzazioni, Tiziano Bellomi ha operato e opera secondo percorsi alternativi, fuori dai circuiti convenzionali dell'arte contemporanea: pur non mancando nel suo curriculum importanti mostre, personali e collettive, nonché partecipazioni a residenze e manifestazioni, ha sempre saputo mantenere la propria ricerca indipendente da vincoli formali sentiti come eccessivamente vincolanti. Figlio di una generazione di artisti che aveva fatto della smaterializzazione dell’opera d’arte in quanto oggetto un principio fondante, Bellomi sostiene che sia del tutto innecessario continuare a immettere prodotti in un mercato già saturo: piuttosto, l’artista dovrebbe dedicarsi a interventi minimi, che sappiano sottolineare ciò che già c’è o stimolare la riflessione attraverso azioni contenute ma significanti. Così, se una serie come Celare a memoria - in cui opere di altri artisti vengono inglobate in blocchi di cemento - è specificatamente tesa a sottrarre oggetti dal mondo (tra i numerosi artisti che hanno partecipato ricordiamo per esempio Arcangelo Sassolino, Paolo Migliazza, Arthur Duff), altre rispondono a quel principio di riduzione che è direttrice fondamentale della sua ricerca. Ne sono un esempio le Numerazioni, iniziate negli anni ’80 scolpendo il numero 1 sul Muro di Berlino e arrivate oggi a quota 123 con interventi nei luoghi più disparati: la 117 è realizzata su una pietra della scuola elementare di Poviglio, frazione che nel 2000 divenne inagibile a causa di una frana e così smise semplicemente di esistere; la 121 invece si trova nel Parco del Sojo, nel bel mezzo di una falesia, etc. Al principio delle azioni minime rispondono anche altri cicli, come le Sculture deperibili, di cui restano solo fotografie e labili ricordi, o le Riunioni, tese a ricomporre ciò che era un tempo unità in un abbraccio forzato, che reca i segni di un equilibrio precario. Di notevole interesse anche il ciclo City names, erede delle affissioni abusive praticate dall’artista in tempi non sospetti e teso semplicemente a nominare, indicare nomi di città attraverso la pittura. Video come Double Identity, Bitten paper o Raw soil argomentano invece l’utilizzo di questo mezzo come opera autonoma o come documento di un’azione performativa. Infine, la nuova serie Confini Mobili, testimonia una ricerca ancora viva e forte, lungi dall’esaurirsi o ripetersi nonostante i quasi 40 anni di attività.

Jessica Bianchera

 

 
Tijguana, city names
 
Free download "Portfolio City Names", (pdf 587-kb)
 

 

Doppia Personale Intermitente

Doppia Personale Intermittente: “Bite-made” e “El arte de las perillas” di Tiziano Bellomi e Osvaldo Cibils.

  • Friday 2 February 2018 at 15:00h -

  • Sunday 11 February 2018 at 19:00h

Sala Thun di Torre Mirana, Palazzo Thun. Via Belenzani, 3 - 38122 - Trento Italia

Intermittent double solo show: "Bite-made" and "El arte de las perillas" is the result of a collaboration between two artists who do not intend to contaminate themselves through sound-art, conceptual-art and video-art. A personal double called "Intermittent" because it presents itself in this exhibition alternation: 2 february 2018 - Tiziano Bellomi; 3 february 2018 - Osvaldo Cibils; 4 february 2018 - Tiziano Bellomi; 5 february 2018 - Osvaldo Cibils; 6 february 2018 - Tiziano Bellomi; 7 february 2018 - Osvaldo Cibils; 8 february 2018 - Tiziano Bellomi; 9 february 2018 - Osvaldo Cibils; 10 february 2018 - Tiziano Bellomi; 11 february 2018 - Osvaldo Cibils.

“Bite-made” by Tiziano Bellomi.
Installation and videoart with documentation of the performances.
Biting, as an act of information gathering, to taste is to know, an event which reveals the violent, visual consequence of a gesture with minimal ties to necessity, the primal need of the oral stage.
Tiziano Bellomi. 1960. Artist, lives and works in Verona Italy. He is graduated at Liceo Artistico Statale di Verona and received a diploma in painting disciplines at the Academy of Fine Arts G.B. Cignaroli.

“El arte de las perillas” by Osvaldo Cibils.
Noisy live soundart with simple and little electronic gadgets with knobs (Kastle Synth and 3 Korg Monotron) plus a background artwork.
Osvaldo Cibils. 1961. Artist born in Montevideo, Uruguay. He lives in Trento, Italia, and Barcelona, España. His artworks are oriented to drawing, soundart and the development of experimental ideas mainly.
http://osvaldocibils.com

 

 
Original Sign

 

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Segno n° 265 dicembre 2017 gennaio 2018

Segno, periodico internazionale di arte contemporanea, N° 265 Dic 2017 / Gen 2018

"Luce della Memoria" Coordinate 44°22'59.3'' N - 10°14'17.3''E

 


 
Bites
 

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Segni di libertà, tratto da Tiziano Bellomi "Bites"
Evocare un gesto atavico per riflettere sul presente e proiettarsi nel futuro. Una sperimentazione immediata ma complessa, nata dall’istinto e dal ragionamento antropologico, che mescola energia e meditazione, capace di teorizzare un nuovo schema segnico: è la nuova ricerca di Tiziano Bellomi. L’artista ha collegato inevitabilmente l’arte alla vita, facendo di essa la linfa che alimenta la struttura dell’opera e viceversa. I suoi “morsi” producono un’iconografia i cui confini sono posti tra il recupero culturale degli impulsi primordiali e la reinvenzione poetica. Recuperando visioni scaturite da personali studi e osservazioni, Bellomi ha assemblato materiali poveri, segni e gesti minimali coadiuvati da una sedimentata combinazione duchampiana, per cui l’oggetto scelto è sempre un referto leggibile e manovrabile secondo le proprie intenzioni.

Ed è qui che l’incontro diventa seducente, pronto e diretto, con le capacità espressive dell’artista che riesce a catalizzare le sue fantasie in un’icona nuova – i bites- proponendo segnicamente e pittoricamente una reinvenzione poetica che rimane carica di tutte le implicazioni formali, logiche, estetiche e psicologiche.

La ricerca artistica di Tiziano Bellomi non si ferma, tuttavia, all’impronta pittorica. Nell’immaginario comune il luogo della scienza è il corpo mentre l’anima è il luogo dell’arte, Bellomi rende obsoleto questo concetto; nei sui atti performativi – ne è un esempio Bitten concrete – l’artista riconosce la materia come fonte vitale, la brama come un neonato al primo approccio istintivo alla mammella e ne desidera raccogliere ogni tipo d’informazione sensibile decidendo così di addentarla. La materia morsa da Bellomi è l’humus determinato da quei flussi di energia che si manifestano sotto forma di vibrazioni visive, tattili, gustative andando ad occupare ogni spazio disponibile, è questa la regola che da forma e vita allo spazio della libertà… e la libertà è il luogo dell’arte.


Pietro Gagliardi Cosenza 2017

 

To invoke an atavistic gesture for the purpose of reflecting on the present and projecting into the future. An immediate but complex experiment, born of a rational and anthropological instinct which mixes activity and meditation, capable of theorizing a new pattern of signs: this is Tiziano Bellomi’s new subject of study. The artist has inevitably linked art to life, making it the lymphatic source which nourishes the structure of the work and vice versa. His “bites” produce an iconography whose confines are posted between cultural recovery of primordial impulse and poetic reinvention. Retrieving images sourced from personal study and observation, Bellomi has assembled materials of a humble nature, with minimal marks and gestures, assisted by a sedimentary Duchampian scheme, so that the chosen object will always be a kind of medical record, legible and maneuverable in accordance with its own intentions. It is here that the encounter becomes seductive, immediate and direct, revealing the expressive capacity of an artist who succeeds in catalyzing his own fantasy into a new iconography —the bites— proposing pictorially and through marking a poetic reinvention which retains all its formal, logical, aesthetic and psychological implications. Nonetheless, Tiziano Bellomi’s artistic search does not stop at pictorial impact. In the common imagination, the body is the realm of science while the soul is the realm of art. Bellomi renders this concept obsolete. In his performative pieces —among them the example of Bitten Concrete— the artists recognizes the material as a vital source, like the craving of a newborn baby at the first instinctive approach to the mother’s breast, gathering every piece of sensory information regarding the object in the act of biting down. Bellomi’s bitten material is the fixed environment of those energy flows which are manifest beneath the shapes of visual vibrations, tactile, gustatory in moving to occupy every available space, and this is the rule which gives form and vitality to the realm of freedom …and freedom is the realm of art.


Pietro Gagliardi Cosenza 2017

 

 
Linea Inquieta
 

Tratto da: LINEA INQUIETA Tracce d’avanguardia nel contemporaneo - Vol.2
dal FUTURISMO al DADAISMO PALAZZO CESCHI - Borgo Valsugana (TN) 2017
collana interna “I quaderni dell’arci”

La ricerca artistica di Tiziano Bellomi indaga i limiti della provocazione nei rapporti di dialogo tra gli artisti e l’opera d’arte, sviluppando in pieno spirito “dada” una personale cifra stilistica. Se qualche tempo addietro l’artista si “divertiva” a fabbricare dei piccoli sepolcri per seppellire nel cemento le opere di altri colleghi (consenzienti) e così contribuire provocatoriamente all’estinzione del popolo della cultura - a suo avviso in sovrannumero -, oggi Bellomi affronta la dimensione bulimica dell’egocentrismo azzannando materialmente risme di carta, blocchi di argilla, ritagli di giornale e quei materiali che compongono la matrice dell’espressività artistica. Nella nota serie “Trademarks” (1970) il performer Vito Acconci mordeva i punti del proprio corpo che riusciva a raggiungere, infliggendosi il “marchio registrato”, nella consapevolezza di essere egli stesso merce nell’economia dell’arte contemporanea. Con Tiziano Bellomi, invece, l’aggressività del morso risparmia l’artista in un’inversione sadica del demiurgo duchampiano. In queste operazioni di chiara intenzione concettuale l’artista allo stesso tempo ribadisce la necessaria corporalità del fare arte, dove le mani che reggono il pennello sono soppiantate da denti, saliva, lingua e gengive
Paolo Dolzan Trento 2017

 

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Bitten paper

"Bitten paper/carta morsicata", detail/particolare, inchiostro su carta, 2017.

“Biting"

Mordere, come atto di ricerca di informazioni, assaggiare, conoscere, un happening che restituisce un oggetto il quale mette in evidenza il risultato visivo violento di una azione minima legata ad una necessità, al bisogno primario della fase orale.

Biting, as an act of information gathering, to taste is to know, an event which reveals the violent, visual consequence of a gesture with minimal ties to necessity, the primal need of the oral stage.

 

 

Work 07

From the catalog "Tiziano Bellomi Perishable Sculptures", Roma, Italy 2017

Tensione Istantanea
Probabilmente è sempre stato l’artista a decodificare il turbamento che viviamo, ad analizzare il presente senza nome, lungo e frastornante in cui siamo immersi. In parallelo con il pensiero di Bauman, i lavori di Tiziano Bellomi appaiono come frammenti di un’architettura fragile-resistente, pezzi di questa nostra realtà tangibile ma al contempo deperibile. Le perishable sculptures apparentemente solide e compatte sono in realtà delle costruzioni delicate composte da materiali fragili come fogli di carta, uova, vetro. Elementi accettati allegoricamente come individui, privati delle loro identità e non percepiti come singoli se non perché compressi o alterati da altre strutture e quindi livellati in una nuova forma collettiva. Raggiunta la massima tensione, Bellomi ritiene che la scultura è conclusa, sintetizza l’apice del dialogo tra frangibile e rigido in uno scatto fotografico e ne lascia decorrere la materia. Per dirla con le parole del sociologo polacco, l’artista è consapevole che “il cambiamento è l’unica cosa permanente e che l’incertezza è l’unica certezza”. Per lo spettatore, invece, comincia un processo inverso. Se per l’artista a risultato raggiunto l’immagine si blocca, sotto l’occhio del pubblico le perishable sculptures producono un’accelerazione della sensibilità, quasi ad aspettarsi una continua sorpresa.


Pietro Gagliardi Aprile 2017, Cosenza

Momentary Tension
Most likely, it has always been the role of the artist to decodify the turbulence in which we live, to analyze the nameless present, long and bewildering, in which we are immersed. In parallel with the ideas of Zygmunt Bauman, Tiziano Bellomi’s work appears as a fragmented architecture both fragile and resistant, pieces of our tangible yet degradable reali- ty. The Perishable Sculptures, appar- ently solid and compact, are in fact tenuous constructions made of fragile materials such as sheets of paper, eggs, or glass. Elements accepted singularly in allegorical terms are stripped of identity, so as to escape individual perception if not compressed or altered by other structures, subjected to a collective formal flattening. Having reached maximum tension, Bellomi maintains that the work of sculpting is finished, summarizing the peak of this dialogue between solidity and impermanence with a photographic image, then leaving the work to speak for itself. In the words of the Polish sociologist, the artist is aware that “change is the only permanent thing and that uncertainty is the only certainty”. For the observer, however, a reverse process begins. If for the artist, freezing the image is a desired outcome, in the eyes of the observer the Perishable Sculptures produce an acceleration of sensitivity, to the extent of creating an expectation of continual surprise.

Pietro Gagliardi Aprile 2017, Cosenza

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packaging for eggs

 

From the catalog "Tiziano Bellomi Solo Exhibition", trento Italy 2017

Vacuus vacuum invocat
Kandinskij non aveva torto: ogni arte è figlia del proprio tempo, è testimone e specchio della società e dell’epoca nelle quali si sviluppa. I moderni mezzi di distrazione di massa impongono che ogni aspetto della vita venga colmato dall’effimero o, meglio, se ci è concesso scadere nell’ossimoro, da una generosa dose di vuoto, pur sapendo che vacuus vacuum invocat; si tratta, in sostanza, di riempire il vuoto con altro vuoto, vuoto colmato dall’ennesima applicazione che permette d’ordinare il sushi, tramite telefono cellulare, da una seduta dall’analista o, dopo aver guidato per centinaia di chilometri, da una bella arrampicata in parete. Tutto assolutamente legittimo, ma piuttosto vacuo, appunto. In una sorta di dialogo serrato fra opposti (fragile-resistente, malleabile-rigido), in cui mai viene cercato l’equilibrio, la recente produzione di Tiziano Bellomi ha l’aura grave, senza scampo, di un epitaffio. L’artista crea una dimensione post duchampiana, post concettuale, solo apparentemente “tardo poverista”, che, in ultima istanza, implode, arriva al collasso, poiché l’artista, volontariamente, le nega l’esistenza stessa, nega il valore del prodotto finale, l’oggetto che dovrebbe essere veicolo della sua poetica: nulla deve restare, durare, permanere, se non uno scatto fotografico, quasi una ripresa post mortem, prima dell’inevitabile disfacimento; un’immagine di precarietà che amplifica la forte distonia presente all’interno dell’opera. L’arte di Bellomi è efficace, svolge il compito che ogni arte dovrebbe prefiggersi, in quanto è specchio fedele di questa contemporaneità funerea, vuota come le orbite di un teschio, dove tutto viene incrinato, schiacciato da una pesante pietra tombale, prossima a spezzare quel sottile filo che la tiene sospesa sulle nostre teste; verosimilmente, una dolorosa meditazione sulle dinamiche del potere in cui l’elemento fragile, l’anello debole, è destinato a soccombere, a corrompersi, a diventare guasto, poiché l’artista è intimamente convinto del fatto che i deboli perdano sempre.


Tommaso Decarli

Vacuus vacuum invocat
Kandinsky was right: all art is a product of its time, is both witness and mirror of the society and of the era in which it occurs. Our modern technologies of mass distraction require that every aspect of life be bridged by the ephemeral, or better, if one concedes to tumble into oxymoron, by a generous dose of the void, in the knowledge that vacuus vacuum invocat; it is, in essence, to fill the void with another void, a void bridged by the umpteenth app for ordering sushi through your cell phone while seated in your analyst’s chair, or, after driving hundreds of kilometers, for running you into a concrete wall. All is perfectly legitimate, only a bit vacuous. Through a kind of dialogue locked between opposites (fragile-resistant, rigid-malleable), in which balance is never sought, the recent work of Tiziano Bellomi has the grave, unavoidable air of an epitaph. He creates a post-Duchamp dimension, post-conceptual, only apparently “late poverista”, which, in this final instance, implodes and collapses because the artist purposely negates his own existence, negates the value of the final product, the object which should have been the vessel of his poetics: nothing may remain, endure, or become permanent, except the photograph, almost a post-mortem recording in the anticipation of inevitable dissolution; an image of instability which amplifies the dissonance present within the work. Bellomi’s work is effective, performing the task to which all art should aspire, in that it truthfully reflects this funereal contemporaneity, empty as the sockets of a skull, where everything is cracked, crushed by a great tombstone which hangs, barely suspended over our heads, by a fragile chord; truly a painful meditation on the dynamics of power, in which the fragile element, the weak link, is destined to succumb, to corrupt itself, to break down, as the artist is thoroughly convinced of the fact that the weak always lose.

Tommaso Decarli

Tenacemente fragile
È un elogio dell’imperfezione il lavoro di Tiziano Bellomi, della fragilità o del suo opposto? In questa mostra l’opera è fermata nel momento di massima tensione, di massima forza e di massima fragilità. Uova nella morsa dell’acciaio che pongono il quesito intorno alla resistenza. Pietre trattenute da fragili spaghi che interrogano sui capricci delle forze. Bottiglie compresse dal cemento in attesa del collasso. Un collasso che mai avverrà perché le opere di Bellomi sono fissate dalla fotografia nell’attimo prima del collasso, nell’attimo dopo lo stato di quiete e nell’istante esatto nel quale si manifesta per un attimo, l’equilibrio precario, la tensione massima, la natura della materia che l’artista coglie in una inedita Struttura
Instabile. In una sorta di ossimoro del reale Bellomi rende evidente i conflitti, le tensioni, le distonie, le fragilità e lo fa a volte negando persino la scultura tridimensionale, oramai distrutta dal carico delle tensioni per testimoniarla infine attraverso una “istantanea” fotografica. Il lavoro che si presenta a Trento presso il CentrA - Centro Studi e Documentazione Arte Moderna e Contemporanea, propone sculture, sculture deperibili e, insieme a queste, le immagini di sculture già distrutte perché nate da una sorta di post-produzione dei materiali forniti dall’industria e riutilizzati secondo nuove convenzioni.

Jasmine Pignatelli

Tenaciously Fragile
Is the work of Tiziano Bellomi a eulogy to imperfection, a paeon to fragility or to its opposite? In the exhibition, Bellomi’s artwork is suspended at the moment of maximum tension, of maximum force and maximum vulnerability. Eggs in a steel vise that call into question resistance and opposition. Stones held by gossamer-thin wires which challenge the capricious whims of force. Bottles squeezed by concrete, on the verge of collapse. It is a collapse that will never happen because the creations of Tiziano Bellomi are seized by the photograph in the instant before they give way, the second after the state of rest and in the exact moment it appears in a flash, in the delicate equilibrium and the utmost strain, revealing the essence of the material which the artist captures in the distinctive and original, Struttura Instabile (Unstable Structure). In a kind of oxymoron in the juxtaposition of the material and the real, Bellomi makes evident the conflict, the tension of discord and of susceptibility, denying even the three-dimensionality of the sculpture, demolished by the force of its weight, witnessed only, in the end, through an “instamatic” snapshot. The work which is presented in Trento at CentrA - Centro Studi e Documentazione Arte Moderna e Contemporanea (CentrA - The Center for Studies and Documentation of Modern and Contemporary Art), features sculptures, decomposable sculptures and, along with these, images of ex-sculptures, now obliterated, born from the destruction of materials – industrial in origin – reused in new ways.

Jasmine Pignatelli

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Artisti e autorialità | Artribune
Tratto da: "Tre artisti si raccontano: Dario Agrimi, Guerrilla Spam e Tiziano Bellomi".

"In me cresce il ramo"

Dove la Latitudine 39,282867° incrocia la Longitudine 16,272250°, Tiziano Bellomi nasconde dentro un tronco di un albero una poesia manoscritta di Andrea Guastella.
In me cresce il ramo è un progetto che cerca di conquistare il senso assoluto dell’eterno. L’operazione consiste nel celare nel tronco di un albero un piccolo contenitore metallico, sigillato ermeticamente, contenente una poesia manoscritta dell’autore Andrea Guastella. L’albero con il tempo cancella completamente le tracce dell’intervento e racchiude dentro di sé questo “bozzolo temporale”, divenendo memoria.
Le capsule della memoria sono un motivo ricorrente nel tuo lavoro?
Sì, non è la prima volta che mi confronto con gli inglobamenti. Creo dei manufatti in cemento o altri materiali che contengono opere d’arte di altri artisti. Un’operazione antica che lega la memoria, il tempo e la materia. Ho creato anche dei Cimiteri dell’arte sempre coinvolgendo altri artisti. In questa esperienza di venti giorni ai BoCS ho avuto modo di realizzare un lavoro con un’opera di Paolo Migliazza, anche lui artista in residenza. Ho inglobato una sua scultura in 60 kg di cemento e mattoni, l’ho esposta al finissage a Cosenza e l’ho consegnata alla sua firma.
Tu parli quindi di autorialità condivisa…
Io non credo nell’autorialità dell’opera, tutte le mie opere non portano la mia firma, mai. Mettendo in discussione l’autorialità, intendo mettere in discussione il sistema dell’arte.


Jasmine Pignatelli, Roma, novembre 2016

Link articolo Artibune: BoCS Art Cosenza. Artisti e autorialità

Free download fanzine "Bocs Art Cosenza" (pdf 2,54-Mb)

Video: "In me cresce il ramo"


Downloan catalogo "Celare a memoria" (pdf 621-kb)

Download catalogo "Celare a memoria" (pdf 621-kb)


Nidastore albero della memoria

“Nidastore Memorie”, albero, archivio elettronico, lastra di rame, viti, misure variabili, 2016.


Memorie di un castello: Quella memoria da non perdere, quella che, nel tempo, si tramanda da generazione in generazione: storie, leggende, racconti. Una memoria che si tramuta in bite e che viene consegnata ad una presenza imperitura dei nostri paesaggi: quell'albero all'ingresso di un castello... Il concetto dell'arte contemporanea che aspira a farsi archeologia. L'albero della memoria di Tiziano Bellomi.

Laura Coppa - AR[t]CEVIA International Art Festival 2016

Site-specific art work, Castello di Nidastore, Arcevia, Ancona, Italy, 2016. geographic coordinates:
43°34'59.1"N 12°56'09.2"E
43.583075, 12.935902

Link video youtube: Castello di Nidastore "L'albero della memoria", ARtCEVIA 2016.

Link video Vimeo: Castello di Nidastore "L'albero della memoria", ARtCEVIA 2016.


L’oggetto assente

(ovvero onnipresente)

L’opera d’arte è assente, sottratta all’invasiva ed eterna presenza alla quale vorrebbe invece essere destinata, occultata al nostro atavico istinto voyeuristico, bandita dai testi di storia dell’arte attraverso i quali avrebbe potuto, un giorno, essere studiata dalle generazioni future. Oppure è già (è già stata e per sempre sarà), offerta sotto forma di dogma fideistico al quale credere senza vedere, senza toccare, privati dell’estatica apparizione mistica che la presenza stessa dell’opera d’arte dovrebbe invece evocare. Solo il nostro sguardo che assiste al miracolo della sparizione è certo e indubitabile allora; disorientato e disilluso ma anche e soprattutto liberato dalle immediate considerazioni estetiche che ne orienterebbero arbitrariamente il giudizio determinando una comprensione sempre parziale e opinabile del significato insito nell’opera d’arte, un’attribuzione forzata di un giudizio critico che sovente si riduce a stigma assiomatico, volto solamente a esprimersi e a riconoscersi entro i limiti di discutibili e fasulli parametri commerciali. Un programmatico e simbiotico accordo lega così i lavori che gli artisti affidano a Tiziano Bellomi e l’oggetto artistico che Tiziano Bellomi realizza occultando gli oggetti ricevuti; l’intero processo conduce a una terza dimensione creativa, contemporaneamente sommativa e sottrattiva, in cui l’opera d’arte muta la sua natura e non esiste più; o forse non esiste ancora! L’ironica e dissacratoria ricerca di Tiziano Bellomi diviene così pensiero esplicativo, razionale e paradigmatico, di un complesso sistema dell’arte dal quale l’artista prende le distanze e del quale riscrive regole non scritte, riconsiderando provocatoriamente i principi di formazione di un valore artistico opinabile le cui variabili appaiono sempre esterne al valore intrinseco dell’oggetto, ai suoi elementi significanti, spesso avulsi dai voleri dell’artista stesso che osserva impotente il prodotto da lui creato smarrirsi nei labirinti delle casualità, piegarsi a imponderabili (s)fortune critiche per assecondare i capricciosi bisogni intellettuali altrui, oltrepassando i limiti di un pensiero originante entro il quale era stata invece resa possibile (e realizzata) la sua mutazione da idea ad azione. Cosa rimane allora di quest’opera d’arte celata, quale significato assume dunque la sua transitoria natura inesistente, quale il fine ultimo della sua non esposizione (permanente)? Contravvenendo alla prima regola dell’arte che nell’atto esibitorio vede completare il messaggio comunicativo endogeno del quale è portatrice, Tiziano Bellomi interrompe perentoriamente il passaggio tra realtà emittente e realtà ricevente, cripta il codice espressivo e linguistico dell’oggetto, altera sensorialmente il registro comunicativo non più condiviso, ridiscutendo sia i criteri di fruizione dell’opera sia il dialogo che esiste tra artista e pubblico.

L’opera d’arte è così contenitore prima ancora di divenire contenuto; nell’impossibilità di stabilirne dunque la certa valenza (a chi attribuiamo l’opera? chi ne detiene la proprietà? cosa conterrà realmente l’oggetto cementificato? è esso stesso opera d’arte? chi potrà mai autenticarne il contenuto?) l’oggetto rimane sospeso in un limbo eterno di dubbi e questioni irrisolte, fornendo a prova della sua esistenza soltanto la sua concreta e inopinabile e innegabile assenza. Nell’era dominata dal credo dell’iper-apparire e della sovra-esposizione, Tiziano Bellomi realizza così, mediante i reiterati occultamenti, un iter progettuale per condurre oltre i limiti tollerabili dai mercati dell’arte la propria ricerca: subordinare l’essenza all’assenza, il mito alla storia, l’idea all’immagine in un gioco di rimandi e ossimori surrealisti in cui oggetto, forma dell’oggetto, idea dell’oggetto, evocazione dell’oggetto si scambiano alternativamente i ruoli, invadono i rispettivi campi semantici, sfumando l’uno nell’altro per dare origine a una nuova forma di oggettività, rappresenta l’estremo tentativo di salvare l’opera d’arte dal precoce invecchiamento, ponendola al riparo dalla lenta agonia dell’assuefazione per estenderne la fruizione oltre i limiti fisici imposti dagli elementi dei quali è composta, per donare all’oggetto artistico stesso una nuova forma vitale (potenziale e sentimentale), slegata dall’inevitabile deperimento organico e immune al malinconico indugiare del tempo che (prima o poi) corrode e altera la materia. L’opera d’arte è posseduta unicamente dal suo sarcofago di mattoni e cemento, difesa dalle violente erosioni esterne e racchiusa entro il non-luogo buio e atemporale della sua inviolabile custodia, protetta da un’asettica e minimale superficie grezza che non ne svela la presenza e che ne procrastina la valenza (nominale) a data da destinarsi, quando (e se) qualcuno avrà l’ardire di scalfire il contenitore (azione tra l’altro univoca, definitiva, categorica, senza ritorno) e rientrare in possesso del suo (prezioso) contenuto. Emerge così l’aspetto maggiormente dissacrante di quest’operazione artistica dalla quale è bandito definitivamente il concetto di possesso dell’oggetto che alimenta e sostiene e autorizza il mercato dell’arte. Nel territorio entro il quale si muove l’artista (i cui confini appaiono tracciati, anche se valicabili, da dada e fluxus) l’elemento artistico diviene lo spazio mentale esistente tra due sostanze, la relazione che s’instaura e si rafforza tra i due elementi coinvolti in questo rapporto biunivoco, ciascuno destinato a una vita indipendente e ciascuno costretto a una inalterabile e parassitaria dipendenza per continuare a fornire ragioni alla propria esistenza. E per continuare a significare. L’opera d’arte determina un’invariabile coincidenza con l’idea che l’ha originata; creatore e creatura continuano ad esistere entro l’affinità elettiva che lega l’atto potenziale all’atto attuato, rinunciando entrambi all’affrancamento dalla materia poiché tutto, in quest’operazione artistica, è riconducibile al piano materiale e fisico, alla pesante evidenza oggettiva (metaforica visualizzazione di un’interdipendenza che è invece spiccatamente concettuale); tanto l’artista infatti sottrae l’oggetto alla sua esposizione, tanto - e contestualmente -

ne riafferma la sostanza presente con l’uso di materiali concreti, semplici ma perdurevoli che, mediati dai linguaggi dell’arte povera, rifuggono le altisonanti leziosità decorative ed estetiche per ri-contestualizzare e ri-semantizzare il nuovo oggetto, traslandone la percezione verso una nuova vita iconica che ambisce alla spiritualità e alla purezza. Nella presa di coscienza della propria assenza, l’oggetto artistico ricerca così una strategica estensione attuale, concedendo solamente un’ immagine non stereotipata e non limitata dalla sua stessa forma e dalla sua stessa consistenza materica, rimanendo etereo e informe; l’opera d’arte nascosta riafferma così la sua onnipresenza, leggera ma pregnante, come un pensiero del quale la mente fatica a liberarsi. La ricerca di Tiziano Bellomi ambisce perciò, negandosi nel presente, a concretizzarsi entro differenti spazi dimensionali, allude a riscoperte archeologiche future, aspira a post-datati recuperi e riconsiderazioni di un senso dell’esistenza attualmente cementato (e apparentemente assente) ma che diviene senza essere ancora stato, non privato quindi nell’immediatezza di un valore assoluto che nell’arte dovrebbe essere eterno. Qui e adesso, nella mente e nello sguardo di chi fronteggia questo nulla apparente che permea gli oggetti scultorei dell’artista, è possibile solo una metaforica riflessione sulle nostre esistenze parimenti sommesse e nascoste, sulle nostre nature celate, la visione - affiorante dallo strato spesso e monocromo di cemento armato - dell’archetipo della nostra natura umana assente, imprigionata dall’attesa di apparire.

Gaetano Salerno Venezia, 13 giugno 2016




Opera Ipogea


Concepire una cavità ipogea nella quale celare l’opera non vuol dire rinunciare alla sua valenza comunicativa; amplifica piuttosto la portata del messaggio dell’opera d’arte attraverso il ricordo dell’assenza, ne estende la fruizione oltre i limiti fisici imposti dagli elementi, schiude l’oggetto artistico stesso a un nuovo valore concettuale e sentimentale, slegato dall’inevitabile deperimento organico e immune alle assuefazioni dello sguardo, al malinconico indugiare del tempo che corrode e annulla la materia. Il progetto conquista così il senso assoluto dell’eterno, vagheggia scoperte presenti e riscoperte future, nel tempo diviene senza essere ancora stato mentre l’idea si sovrappone alla sua immagine concreta e intercetta, nella mente di chi fronteggia il vuoto e riflette sulla sua esistenza sommessa e nascosta, l’archetipo della sua struttura assente, divenendo realmente opera offerta al pensiero di chi ne condivide, vivendo il luogo e instaurando relazioni biunivoche con esso, la dislocata presenza. Annullare la visione dell’opera data dal suo occultamento, subordinare l’icona artistica al luogo della sua messa in opera, delega così a ciascun potenziale fruitore la libertà di elaborare la propria intima e personale visione, immaginandosi l’opera parte integrante del luogo e imprescindibile dell’azione artistica.

Gaetano Salerno, Venezia 2016




Concrete

Con i lavori dal titolo “Concrete”, indago il concetto di autorialità. L'operazione artistica consiste nel creare un blocco di cemento il quale al suo interno contiene un'altra opera donatami da amici artisti.Una iscrizione su piastra di ferro informa sul contenuto, indicando il nome dell'autore, il titolo e l'anno di esecuzione dell'opera contenuta.In questo modo il lavoro finito è composto da più opere: l'operazione artistica, il manufatto, e l'opera che esso contiene.Concettualmente tende verso la negazione dell'opera, infatti l'opera è presente ma non è visibile.Tutti i lavori sono accompagnati da un video che presenta le fasi della creazione del blocco di cemento e ne mostra il contenuto, svolgendo una funzione documentativa.Il blocco di cemento e il video sono esclusivamente dei documenti dell'operazione artistica.Idealmente si collega alla tradizione in uso nei tempi passati di celare importanti documenti nelle fondamenta di costruzione di cattedrali, chiese e fortezze.

Through my artworks intitled “Concrete” I seek the concept of authorship.The artistic operation consists of creating a block of concrete which includes another work, given me by artist friends.An inscription on an iron plate informs of the contents, specifying the author's name, title and year of creation of the work of art inside.In such way, the completed artwork is composed of many pieces: the artistic operation, the product and the work contained inside it.It tends, conceptually, to the negation of the work, in effect the artwork is present but not visible.Every piece goes with a video that displays the phases from the creation of the block and shows the contents, conducting a documentary function.The block of concrete and the video are exclusively documents of the artistic operation.Ideally, it relates to the ancient tradition of concealing important documents inside the foundations of cathedrals, churches and fortresses under construction.

Tiziano Bellomi Verona 2015




Metageografie

Al di là di un’osservazione puramente oggettiva e percettiva del paesaggio e, più in generale, dello spazio, esiste una geografia che si pone in un territorio “altro”, in cui entrano in gioco impressioni soggettive, che concorrono in maniera incisiva, seppur non esclusiva, alla costruzione di un diverso concetto di paesaggio stesso, che ne modella le forme e ne condiziona l’interpretazione ultima. È il caso delle “metageografie” di Tiziano Bellomi che, come suggerisce la parola, si pongono in una sfera che va oltre la geografia “tradizionale”, indagando i campi dell’effimero e del tempo sospeso. L’artista non si limita a rilevare un semplice dato fisico, ma, partendo da fredde coordinate geografiche, compie un sopraluogo, osserva, registra, preleva campioni come farebbe un qualsiasi uomo di scienze, al fine non di produrre una statistica, ma una visione paesistica estetizzata. Egli non lavora direttamente con e sul paesaggio, nel senso che, pur confrontandosi con esso, intervenendo e modificandolo, è lungi dal voler proporre un brano di buona “pittura”. Il suo obiettivo è quello di creare una dimensione spaziale poetica, ricostruendo a posteriori, sulla base dei dati raccolti, un pezzo di realtà trasfigurata. Il suo è un procedimento di lavoro che può essere definito, non a torto, euristico, in quanto si affida all'intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al fine di generare nuova conoscenza. La zolla d’erba, la pietra, l’oggetto trovato, il frammento prelevato acquisiscono un carattere metafisico, prescindono dalla loro fisicità, in quanto sottratti dal loro normale contesto e collocati in uno spazio asettico, fisso, che permette loro di acquisire una valenza immaginifica; diventano relitti, scarti del mondo vero che, nell’artificio dell’arte, si arricchiscono di significati reconditi, misteriosi e surreali. In questo senso, il mezzo fotografico non viene impiegato per realizzare un documento oggettivo. La foto non si limita a riprodurre il vero, il luogo prefisso per l’azione artistica, essa viene manipolata, virata, graffiata. Lo scatto può essere contemporaneo o appartenere ad un passato che non è inteso solo come condizione temporale, ma, anche, come stato dell’animo, fuga da una contemporaneità asfissiante, recupero di una manualità, di una pratica atavica che bisogna, ad ogni costo, salvaguardare e perpetrare. Le “registrazioni” di Bellomi si configurano come veri e propri tentativi di persistenza di memoria, testimonianze che vanno conservate, tramandate, affinché mai venga a perdersi quel gusto per la ricerca e per la meraviglia che è proprio dell’arte.Beyond a purely objective and perceptive observation of the landscape and, more generally, of the space, there exist a geography that arises in an “other” area, where subjective impressions come into play, contributing in an incisive, albeit not exclusive, way to the construction of a different concept of the landscape itself, modelling forms and affecting interpretation.

This is the case of “Metageografie” by Tiziano Bellomi that, as words suggest, are in a sphere that goes beyond traditional geography, investigating the fields of the ephemeral and suspended time. The artist does not just detect a simple physical fact, but, starting from cold geographic coordinates, performs and inspections, observes, records, takes sample as any man of science would, in order not to produce a statistic, but an aestheticized vision of a landscape. He does not work directly with and on the landscape, in the sense that, while confronting, acting and editing the landscape itself, the artist is far from wanting to propose a piece of good “painting”. His goal is to create a poetic spatial dimension, reconstructing afterward, on the basis of collected datas, a piece of transfigured reality. His work is a process that can be called, with good reason, heuristic, as it relies on intuition and on the status of temporary circumstances, in order to generate new knowledge. The patch of grass, the stone, the found object, the taken fragment, they all acquire a mataphisical character, they trascend their phisicality, because they have all been abducted from their normal context and replaced into an aseptic and fixed space, allowing them to gain imaginative value; they become wrecks, wastes of the true world that, in the artifice of art, become enriched with mysterious and surreal hidden meanings. In this sense, the photographic medium is not employed to achieve an objective document. The picture does not just show the truth, the chosen site for this artistic action, this picture is manipulated, turned around, scratched. The shot can be contemporary or it can belong to a past that is not intended only as a condition of time, but also as a state of mind, an escape from an asfixiating present, the recovery of a certain manuality, an ancestral practice that we must, at all costs, safeguard and perpetuate. The “registrazioni” by Bellomi constitute genuine attempts to mnemonic persistence, evidence that must be kept and handed down, so that the taste for research and for wonder, which ultimately we call art, will never be lost.

Tommaso Decarli Trento 2015




Equidistanze - autoriaità condivisa


Nasce l'idea, l'impulso di creare qualcosa capace di infrangere un limite o rinnovare un dato, sia esso un elemento già noto e conosciuto o qualcosa che si proietta verso l'inesplorato. E da questo prende forma un processo artistico che non richiede più la risposta alla domanda che cosa sia, ma piuttosto come sia rappresentato. Nessuna finalità etica o morale se non la documentazione dei tempi, alla ricerca di contenuti e rappresentazioni capaci di mostrare l'insolito con ogni mezzo, facendovi in qualche modo contribuire il caso. L'artista crea l'opera, ma nel momento stesso in cui lo fa, ricerca un modo affinché sia annullato per lui il valore di autorialità esclusiva. Ma questa rinuncia è tale solo in apparenza: ne rivendica poi la proprietà intellettuale, in una sorta di gioco dadaista che manifesta un concetto attraverso la sua negazione. L'atto è studiato, pensato, progettato in un'oscillazione permanente tra ciò che è e ciò che appare. Si individua l'autore dell'idea, ma la stessa idea non ha alcun valore senza l'intervento di altri artisti chiamati a creare una vera e propria azione collettiva in cui ognuno è attore e parte di un'autorialità condivisa. L'attenzione è portata sulla messa in comune del pensiero che intende far emergere dal profondo le associazioni segrete che incessantemente collegano il mondo interno dell'uomo a quello in cui esso è contenuto. In questo modo si dissolvono i confini formali, si istituiscono rapporti, si manifestano analogie. Si esprime l'esigenza di mostrare l'opera nello stato in cui l'hanno modificata gli agenti esterni, prendendola in considerazione proprio a causa del dubbio che può sorgere sulla sua destinazione iniziale o quella finale o, ancora, sull'ambiguità risultante dal suo condizionamento totalmente o parzialmente irrazionale di chi condivide quel pensiero, quell'idea.

Alla stregua delle operazioni artistiche sperimentate dai surrealisti che con il loro cadavre exquis, in una forma di gioco intellettuale, trovano un mezzo per liberare pienamente l'attività metaforica dello spirito, in questo ripensato tentativo ludico, vi è una continuazione visiva e in senso più ampio concettuale di altri precedenti storici, che sfociano in una sorta di sociologia descrittiva.

Se in precedenza è nata l'urgenza di dare espressione ai poteri profetici dello spirito, attingendo all'inconscio, qui si esplora la realtà attraverso la documentazione: una serie di opere 'registrano' materialmente una sovrapposizione di interventi o azioni che non rispondono a nessuna richiesta se non quella di testimoniare il proprio passaggio. Svuotata dal suo contenuto estetico originario, l'arte si crea così altrove e, in essa, il contenuto-forma è libero di sconfinare in motivazioni extra artistiche. Ogni pensiero si sviluppa lungo linee parallele: può ridursi in un calcolo razionale di possibilità e variazioni rispetto a ciò che è già stato fatto o visto, in una iterazione finita di stereotipi, oppure espandersi verso l'urgente e tormentato bisogno di superare ogni sovrastruttura formale e contenutistica.

La ricerca si protende a scandagliare infinite variazioni combinatorie che possono anche apparire come un surrogato di un dato estetico e formale venuto meno, ma l'intento è quello di permettere una libera contaminazione tra tecniche e discipline con un'ampia facoltà di disporle e combinarle insieme.

Carlotta Giardini Verona 2015

 
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